And the
beat goes on per ben tre ore. Tre ore che qualcuno potrebbe definire eccessive e
che invece solo lui poteva girare così: per fortuna che Scorsese c'è!
Spiegatemi per favore le polemiche e il fiume di parole che sono state scritte sulla presunta amoralità di questo film, del suo regista e di Leonardo DiCaprio. Il Time si chiede se al di là della qualità del film, The Wolf of Wall street sia una critica o una celebrazione dello stile di vita di Jordan Belfort, "un uomo che non ha rispetto di niente tranne che per il denaro". Qualunque spettatore dotato di un minimo di spirito critico si accorge benissimo che la condiscendenza nel raccontare e giudicare di Scorsese è solo apparente. Sotto, e nemmeno troppo a fondo, si nasconde la storia di un uomo schiavo delle proprie nevrosi e delle proprie debolezze e non c'è nessun bisogno di puntare il dito e condannarlo moralmente. Non c’è nessuna celebrazione, anzi quel mondo viene palesemente ritratto in tutti i suoi eccessi: cocaina, orge, Ferrari e Lamborghini bianche, yatch, lancio di nani e puttane.
Detto questo, secondo me il film è
davvero godibile, è Scorsese allo stato puro, quello di Godfellas e Casinò per intenderci. Il parallelismo con Quei bravi ragazzi è fin troppo evidente, a cominciare
dalla voce off di Belford/DiCaprio che racconta la parabola professionale e
personale del broker, proprio come faceva Henry Hill/Ray Liotta ricordando i
suoi esordi criminali. Molto simili sono anche le tappe che segnano il cammino
dei due: la formazione, i capi/mentori, la famiglia e i compagni di viaggio,
l'ascesa rapidissima e il declino.
Il mentore di Di Caprio è uno strepitoso
e magrissimo Matthew Mcconaughey, reduce dalle riprese di Dallas Buyers Club.
Personalmente l'ho sempre ritenuto un attore inutile e invece qui mi ha stupito
perché ti rimane super impresso nonostante il suo sia un ruolo minuscolo, starà
in scena a dir tanto 5 minuti.
La vera
famiglia di Belford è composta dal padre, che inizia presto a collaborare con
la società fondata dal figlio forse senza rendersi conto che si tratta di una
banda di truffatori e la madre che vediamo solo di sfuggita. Padre e madre sono
gli unici personaggi "positivi" del film e ricordano tantissimo i
veri genitori di Scorsese, ripresi abilmente dal regista in quel bellissimo
documentario che è Italoamericani (1974).
Ma la famiglia sono anche gli amici, o
meglio i soci in affari, un gruppo di cialtroni il cui unico scopo è quello di
fottere i clienti e fare una montagna di soldi da poter poi buttare via. Tra
tutti svetta l'amico Donnie Hill, interpretato dal fantastico Jonah Hill, esilarante nella scena in cui, per distruggere la
volontà di un impiegato, si mangia il suo pesce rosso. Sarà una citazione di
Kevin Kline in Un pesce di
nome Wanda?(Beh a me
comunque ha strappato un
applauso in sala). E poi c’è Jon
Berthal, il Shane di The Walking Dead, spettacolare qui in versione ancora più
tamarra.
Perfetti anche Jean
Dujardin (The Artist) nel ruolo del banchiere svizzero e Margot Robbie nel ruolo della moglie Barbie.
The
Wolf è la lunga soggettiva colpevole, drogata e famelica di
Jordan Belfort. È come una grande abbuffata caratterizzata dalla sua bulimia e
dal suo desiderio di toccare tette a caso, sniffare qualsiasi tipo di droga e
guadagnare soldi. Ed è un DiCaprio immenso, veramente da Oscar a sto giro.
Una carrellata di eccessi, di
personaggi che sembrano usciti da Porky's. Si passa da Bob Clarke per arrivare fino a Carl Theodor Dyrer, insomma dal profano al sacro. "Ti do
10000 dollari se ti fai rasare a zero", è quanto viene proposto a una
delle segretarie, trasformandola così in una moderna e grottesca Giovanna D'arco.
E per finire come dimenticare la scena del salvataggio da parte degli italiani, che accolgono i naufraghi con vino rosso e le note di Gloria di Umberto Tozzi, talmente trash da essere geniale!
Quindi: PARTY TILL YOU PUKE